Pesce spada del martedì

Da ItaChan.
Versione del 19 mar 2011 alle 12:02 di The Executioner (discussione | contributi)
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Pesce spada del martedì è il nome dato a una serie di thread ricorrenti su Diochan.

Apparsi principalmente nel 2009, i thread cominciavano tutti con l'immagine di un pesce spada, e il testo

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Salve, sono il pescespada del martedì e stasera vi propongo...
– Anonimo
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seguito da una breve descrizione della fiaba.

Qui di seguito riportiamo una serie di fiabe.

Noci di kola

C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua bellezza e bontà.
Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non sapeva decidersi. - A chi mi concederai? - chiese a suo padre.
- Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu, giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.
- Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri. Vedremo cosa succederà. Il re, sorpreso e un po' controvoglia, accettò.
La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa. Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.
- Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le noci di kola.
Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto sua figlia fosse prudente.
Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi che indossava.
Con le lacrime agli occhi egli disse:
- O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei. Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti accanto a lei anche queste noci di kola perché le diano forza nel grande viaggio.
Il re fu commosso fino al profondo del cuore. Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce: - Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.
Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a memoria d'uomo.
I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.

La tribù degli Alligatori

Tanto, tanto tempo fa, una vecchia e suo nipote si misero in viaggio attraverso il paese degli indiani.. Nessuno sapeva da dove venivano né dove andassero e nessuno lungo il cammino volle dar loro ospitalità, dividere con loro cibo e fuoco. Era un brutto periodo, quello, perché le tribù degli Indiani combattevano l’ una contro l’ altra. Ma la vecchia non si scoraggiava.
- Vedrai – diceva al nipote – prima o poi troveremo chi ci aiuterà.
Cammina, cammina, tra montagne e praterie, un giorno giunsero all’ accampamento della tribù degli Alligatori, gente povera, ma di buon cuore. Il loro capo, Dente di Alligatore, disse ai due viaggiatori stanchi:
- Potete restare con noi, dormire sotto una tenda e scaldarvi al nostro fuoco, ma purtroppo non troverete niente da mangiare. I nostri terreni di caccia non sono ricchi di selvaggina e inoltre dobbiamo sacrificare le prede agli Alligatori, per non perdere la loro protezione.
- Saremo felici di condividere il vostro destino - rispose la vecchia.
- Io, in cambio dell’ ospitalità, avrò cura dei vostri bambini - . Dente di Alligatore le indicò una tenda vuota e lei ci si sistemò insieme al nipote.
L’ unico bagaglio che aveva, un sacco di pelle di bisonte, lo depose in un angolo scuro.
La mattina seguente, all’ alba, i cacciatori partirono in cerca di selvaggina e le donne andarono nella prateria per raccogliere erbe e radici.
Nel villaggio rimasero solo i bambini che si misero a giocare per ingannare la fame, in attesa che ritornassero i genitori. Le ore erano lunghe a passare, con lo stomaco vuoto, e i giochi erano sempre gli stessi. La vecchia uscì dalla tenda e chiese ai bambini.. - Volete che vi racconti una storia?
- Sì, Sì! - Risposero tutti in coro.
E la vecchia raccontò come erano nati gli alberi.
“ In tempi molto, molto lontani, la terra era coperta solo di erbe e fiori, non c’era neanche un albero. Poi, un giorno, il Grande Manitù, guardando giù dalle nuvole, sentì il desiderio di accarezzare quei fiori che ondeggiavano al vento sugli steli sottili. Allora ordinò agli steli di crescere di crescere fino a raggiungere il palmo delle sue mani. Fu subito obbedito e pini, aceri, abeti, salirono verso il cielo fin quasi a toccarlo.
Ora bastava che il Grande Manitù stendesse la mano per poter accarezzare quelle chiome verdi che la brezza faceva sussurrare”.
La vecchia guardò i bambini e capì che la storia era piaciuta molto, ma che non aveva fatto dimenticare la fame. Allora rientrò nella tenda e poco dopo ecco alzarsi nell’aria un profumino appetitoso. Poi uscì di nuovo e distribuì a ciascun bambino una ciotola di pappa morbida, colore dell’oro, buonissima e nutriente.
- E’ fatta con il granoturco – disse.
- Se vi comportate bene, ne avrete tutti i giorni. - E così fu.
I cacciatori partivano tutte le mattine all’ alba in cerca di selvaggina, le donne andavano nella prateria per raccogliere erbe e radici, la vecchia raccontava ai bambini una bella storia e poi dava loro una ciotola colma di pappa di granturco.
Così passò il tempo e anche l’ultimo mese dell’anno, quello della Lunga Notte finì. La vecchia continuava ogni giorno a distribuire la sua pappa ai bambini, ma negli ultimi tempi era diventata più debole e più magra. Una mattina non potè più alzarsi da letto.
Allora chiamò il nipote e disse: - Ragazzo mio, presto abbandonerò questo mondo, ma anche quando non ci sarò più la tribù degli Alligatori continuerà a ricordarmi. Ho seminato un po’ di granturco in un pezzo di terra non lontano dall’accampamento. I semi hanno già messo le radici e germoglieranno a primavera. Io ho fatto la mia parte, ora tocca ai bambini custodirli, innaffiarli e zapparli, se vogliono avere un buon raccolto e non soffrire più la fame. Per qualche tempo ancora, la vecchia consegnò al nipote il pentolone pieno di pappa fumante perché la distribuisse al posto suo; poi, quando la prima pannocchia di granoturco maturò, essa scomparve nel nulla, come se non fosse mai esistita.
- Non la vedremo più- disse il capo Dente di Alligatore - ma sarà sempre viva nel nostro ricordo e nel nostro cuore. Poi indicò il granoturco che cresceva alto e rigoglioso ed aggiunse:
- Guardate: si è trasformata in quelle piante che ci ha donato perché la fame non ci perseguiti più.
Da allora in poi gli Indiani coltivarono con amore i loro campi di granoturco e, quando i bianchi filamenti spuntavano dalle pannocchie dorate, vedevano in essi i capelli candidi della vecchia che non avrebbero mai dimenticato.

Il valoroso guerriero

Dopo una lunga e coraggiosa vita, un valoroso samurai giunse nell'aldilà e fu destinato al paradiso.
Era un tipo pieno di curiosità e chiese di poter dare prima un'occhiata anche all'inferno.
Un angelo lo accontentò.
Si trovò in un vastissimo salone che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili. Ma i commensali, che sedevano tutt'intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà.
"Com'è possibile?" chiese il samurai alla sua guida.
"Con tutto quel ben di Dio davanti!"
"Ci sono posate per mangiare, solo che sono lunghe più di un metro e devono essere rigorosamente impugnate all'estremità. Solo così possono portarsi il cibo alla bocca"
Il coraggioso samurai rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.
Il paradiso era un salone assolutamente identico all’inferno!
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata di gente seduta davanti ad un’identica sfilata di piatti deliziosi.
Non solo: tutti i commensali erano muniti degli stessi bastoncini lunghi più di un metro, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca.
C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, ben pasciuta, sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile?”, chiese stupito il coraggioso samurai.
L’angelo sorrise:
“All’inferno ognuno si affanna ad afferrare il cibo e portarlo alla propria bocca, perché così si sono sempre comportati nella loro vita. Qui al contrario, ciascuno prende il cibo con i bastoncini e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino”.
Paradiso e inferno sono nelle tue mani.
Oggi.

I tre pesci

C'erano una volta tre pesci che vivevano in uno stagno: uno era intelligente, un altro lo era a metà e il terzo era stupido. La loro vita era quella di tutti i pesci di questo mondo, finché un giorno arrivò un uomo.
L'uomo portava una rete e il pesce intelligente lo vide attraverso l'acqua. Facendo appello all'esperienza, alle storie che aveva sentito e alla propria intelligenza, il pesce decise di passare all'azione.
"Dato che ci sono pochi posti dove nascondersi in questo stagno, farò finta di essere morto", pensò. Raccolte tutte le sue forze, balzò fuori dall'acqua e atterrò ai piedi del pescatore, che si mostrò piuttosto sorpreso. Tuttavia, visto che il pesce tratteneva il respiro, l'uomo lo credette morto e lo ributtò nello stagno. Allora il nostro pesce si lasciò scivolare in una piccola cavità sotto la riva.
Il secondo pesce, quello semintelligente, non aveva capito bene quanto era accaduto. Raggiunse quindi il pesce intelligente per chiedergli spiegazioni. "Semplice", disse il pesce intelligente, "ho fatto finta di essere morto e così mi ha ributtato in acqua".
Immediatamente, il pesce semintelligente balzò fuori dall'acqua e cadde ai piedi del pescatore.
"Strano", pensò il pescatore, "tutti questi pesci che saltano fuori dappertutto!". Ma il pesce semintelligente si era dimenticato di trattenere il respiro, così il pescatore si accorse che era vivo e lo mise nel suo secchio. Riprese quindi a scrutare la superficie dell'acqua, ma lo spettacolo di quei pesci che atterravano sulla riva, ai suoi piedi, lo aveva in qualche modo turbato, sicché si dimenticò di chiudere il secchio. Quando il pesce se ne accorse, riuscì faticosamente a scivolare fuori e a riguadagnare lo stagno a piccoli salti. Andò a raggiungere il primo pesce e, ansimando, si nascose accanto a lui.
Ora, il terzo pesce, quello Stupido, non era naturalmente in grado di trarre vantaggio dagli eventi, neanche dopo aver ascoltato il racconto del primo e del secondo pesce. Allora riesaminarono ogni dettaglio con lui, sottolineando l'importanza di non respirare quando si finge di essere morti.
"Molte grazie, adesso ho capito!"; disse il pesce stupido, e con quelle parole si lanciò fuori dall'acqua e andò ad atterrare proprio accanto al pescatore. Ora, il pescatore, che aveva già perso due pesci, lo mise subito nel secchio senza preoccuparsi di verificare se respirava o no. Poi lanciò ancora ripetutamente la sua rete nello stagno, ma i primi due pesci erano ormai al sicuro nella cavità sotto la riva. E questa volta il suo secchio era ben chiuso.
Il pescatore finì per rinunciare. Aprì il secchio, si accorse che il pesce stupido non respirava, lo portò a casa e lo diede da mangiare al gatto.

99 galline

C’era una volta una famiglia che viveva in una fattoria. Marito e moglie erano attorniati da animali, i più numerosi erano le galline: ben novantanove galline e un solo gallo.
Un giorno il marito disse alla moglie: “Che ne dici se vendiamo un po’ di galline visto che ne abbiamo così tante?”
La moglie acconsentì e il giorno dopo andò in paese a venderle a un uomo che girava in cerca di affari. La donna gli vendette tutti e cento gli animali compreso il gallo, ma l’uomo le disse:
“Non ho i soldi per pagarti, ti lascio il gallo come pegno. Però mi dovresti prestare la tua asina per trasportare le galline.” La donna acconsentì.
E l’ambulante: “Non è che mi presteresti anche il tuo cane, sai contro i malintenzionati…”
La donna gli diede tutto ciò che chiedeva e la sera, quando il marito tornò a casa gli raccontò tutto. Il marito iniziò ad urlare pieno di rabbia e il giorno dopo partì di nascosto. Andò in giro per i paesi a caccia di donne da truffare.
Sulla strada vide una ragazza vicino ad un pozzo e le si avvicinò. La giovane gli chiese: “Da dove vieni?” Egli rispose: “Vengo dal mondo dei morti.”
La ragazza allora esclamò: “Quindi tu conosci Takis, il povero figlio morto della mia padrona”
“Certo che lo conosco, sta bene ma è povero. Gli mancano scarpe, soldi e vestiti”, rispose lui. Allora la ragazza corse a chiamare la sua padrona. La signora quando seppe delle condizioni del figlio diede allo scaltro uomo cibo e tutto il necessario per il povero figliuolo.
La sera tornò a casa il marito, grand’ufficiale del re. La signora gli raccontò che aveva regalato ad un uomo proveniente dall’aldilà scarpe, vestiti e soldi per il loro figlio. L’ufficiale capì subito che era tutta una truffa e corse a cercare l’uomo. Il mascalzone, accortosi che era ricercato, si rifugiò presso un mulino e disse al mugnaio: “Corri mugnaio, scappa perché qualcuno ti sta cercando.” Il povero mugnaio impaurito scappò su di una pianta mentre l’uomo si coprì di farina. Poco dopo arrivò l’ufficiale e chiese al mugnaio, che però era il furfante, di tenergli il cavallo. Sceso da cavallo si tolse gli stivali e si arrampicò sulla pianta. Allora l’uomo scaltro si infilò gli stivali e, salito sul cavallo, corse via con il bottino.
L’ufficiale tornò a casa sconfitto e disse alla moglie: “Avevi regalato a Takis scarpe, vestiti e denaro, allora io ho pensato di fargli avere anche stivali e cavallo!”

Xi Shi

La storia di Xi Shi è legata alle vicende degli stati di Wu e di Yue, all’epoca dei Tre Regni (221-263 d.C.). Quantunque avesse un viso bello come un fiore e bianco come la giada, Xi Shi dimostrò di avere la capacità, con uno sguardo, di conquistare una città e, con un altro, di impadronirsi d’uno stato. Fu un’eroina: vergognosa dell’onta portata al suo paese distrutto, non esitò, per vendicarsi, a usare il proprio corpo. Voleva che lo stato di Yue (Zhejiang), ove era nata e che era diventato vassallo dello stato di Wu, riconquistasse la sua indipendenza.
La storia dice che il re Ke Jian dello stato vassallo di Yue riunisse un giorno i suoi funzionari e domandasse loro quale mezzo avrebbero scelto per vendicarsi della vergogna subita con la conquista da parte di Wu.
"Vi sono sette mezzi per distruggerlo" rispose Wen Jiong. "Il primo è quello di dargli oggetti e monete perché il re e i suoi ministri siano contenti. Il secondo è quello di comprare i loro cereali, in maniera che non ne abbiano di riserva. Il terzo è di inviare colà leggiadre fanciulle perché possano stregare il re e farsi amare da lui". E continuò l’elenco.
Quindi Ke Jian prima inviò in dono a Fu Ji’ai, re di Wu, il migliore legname per costruire un belvedere, poi inviò il suo fedele funzionario Fan Li in tutto il regno per trovare le fanciulle più leggiadre e trasmetterne un elenco a corte. Dopo sei mesi aveva trovato fanciulle graziose, ma non di fascino tale che un loro sguardo conquistasse uno stato.
Alla fine, sulla Collina del Glicine, vide una ragazza intenta a lavare una stoffa di canapa.
La storia dice che la fanciulla emanasse odor di orchidea e che ancor più che bella si dimostrasse leale e intelligente, chiedendo senza paura a Fan Li perché, nonostante la vergogna dello stato di Yue non fosse ancora stata lavata, un ministro andasse a passeggio in luoghi sperduti dell’impero ad ammirare le bellezze del paesaggio.
Così Fan Li svelò il segreto della missione e Xi Shi, accompagnata da un’amica altrettanto bella e coraggiosa, andò a corte. Per tre anni le giovanette vennero addestrate al canto e alla danza, impararono ad atteggiare il viso e a camminare con grazia, quindi furono inviate allo stato di Wu, dove infatti Xi Shi divenne la favorita, così amata dal re che, per evitarle i calori estivi, ordinò un giorno di costruire una reggia sulla baia di Dongding in soli dieci giorni.
Tutta la gente giovane dello stato di Wu dovette andare a lavorare alla costruzione della baia, per trovare materiale a sufficienza si demolirono templi, poi le case dei benestanti, infine quelle del popolo. I lavori agricoli furono ritardati e così quelli della tessitura, il popolo di Wu era ormai esasperato ma la reggia fu costruita.
Allora Ke Jian ordinò a Wen Jiong di andare nello stato di Wu e chiedere in prestito riso dai granai del regno, simulando una cattiva annata. Poiché lo stato di Wu in apparenza si era sempre dimostrato in pace, inviando a Wu il più pregiato legname e le più leggiadre fanciulle, il prestito fu concesso e l’anno dopo regolarmente restituito, ma con riso sottoposto a una corrente di vapore, di grana grossa all’apparenza ma non trapiantabile. Tale riso fu distribuito alla popolazione perché lo seminasse. Ma non germogliò nulla, causando, l’anno dopo, una grave carestia.
Intanto Fu Ji’ai fece guerra allo stato di Ci e la vinse; poi partì con l’intenzione di togliere allo stato di Jin la preminenza tra i regni alleati. Per Yue era il momento di attaccare, approfittando dell’assenza di Fu Ji’ai dal suo regno: lo fece ed ebbe la meglio e quando Fu Ji’ai fece ritorno nel suo stato per misurarsi contro i soldati di Ke Jian, ormai le sue truppe erano stremate. La vendetta di Yue contro Wu era compiuta e Xi Shi poteva ritornare in patria, ma non aveva previsto di essere amata così devotamente da Fu Ji’ai e di sentirsi ora in dovere di ripagarne in qualche modo i benefici ricevuti. Non aveva tralasciato di vendicare il suo paese ma ora ricambiava col suicidio i favori di quel sovrano nemico che l’aveva amata.

Le lepri

Un giorno le lepri si radunarono e si lagnarono tra loro della loro triste sorte:
dovere avere paura di tutti, degli uomini, dei cani, di tutti gli altri animali!
Meglio una volta per sempre, morire, che vivere con tanta paura!
Presa questa decisione, tutte le lepri unite galopparono verso uno stagno per buttarvisi dentro e annegare.
Ma le ranocchie che se ne stavano quiete intorno allo stagno, appena avvertirono lo scalpiccìo delle lepri, schizzarono in acqua.
Allora una lepre più saggia delle altre disse:
- Coraggio, compagne! Avete visto?
Ci sono animali che hanno paura persino di noi!

Tom Moore

C'era una volta in un villaggio sul mare un giovane pescatore che si chiamava Tom Moore: era rimasto orfano e da tempo stava cercando una moglie, ma malgrado fosse un ragazzo bello ed intelligente non riusciva a trovare nessuna fidanzata. Un mattino, all'alba, vide su uno scoglio vicino a casa sua la più bella donna che avesse mai visto. Se ne innamorò immediatamente.
Stava salendo l'alta marea e Tom ebbe paura che la ragazza affogasse. La chiamò, ma lei si buttò in acqua e scomparve dalla sua vista. Per tutto il giorno Tom pensò a lei, senza riuscire a lavorare. Il mattino dopo la rivide: a terra, vicino a lei, c'era una pelle di foca. Subito Tom prese la pelle di foca: lei disse di restituirgliela, ma lui rifiutò: aveva sentito parlare delle donne foche e sapeva che non doveva ridare loro la pelle per nessuna ragione, altrimenti le avrebbe perse.
La ragazza accettò allora di andare a casa con lui e di diventare sua moglie. La pelle della foca finì nascosta sotto una cassapanca. Passarono gli anni e dal matrimonio nacquero tre bei bambin, ma con una membrana di foche tra le dita delle manii.
Un giorno, anni dopo, scoppiò una tempesta che allagò la casa. Tom e la moglie si misero a lavorare alacremente per tirare fuori l'acqua. Ad un tratto, da sotto la cassapanca venne fuori la pelle di foca. La moglie guardò Tom con aria triste, prese la pelle e si buttò in mare. Non fece più ritorno, ma continuò a proteggere Tom e i suoi bambini, mandando loro cibo e fortuna. Si dice inoltre che i discendenti di Tom vivano ancora lì e di tanto in tanto nasca qualcuno con la membrana tra le dita delle mani o dei piedi.